di Paolo De Angelis
L’AQUILA - Nulla
di nuovo sotto il sole. Non esiste un modo “leale” di fare la guerra. La guerra
è l’abominio del genere umano. Lo so che questa riflessione è un po’ lunga, ma
vi consiglio di leggerla… All’inizio dell’assedio da parte dei russi, in città
sono rimasti intrappolati 200.000 civili. Uomini, donne e bambini che non sono
riusciti a fuggire. Chi si è salvato lo ha fatto camminando sul mare ghiacciato
che in molti punti ha ceduto, ingoiando migliaia di persone e non lasciando
scampo a coloro che erano finiti nell’acqua gelata…
Alla fine della
battaglia sono sopravvissuti 20.000 civili che sono stati deportati in Russia per
essere avviati nei campi di lavoro in Asia
centrale ed in Siberia e la cui
sorte è sconosciuta. La città è stata totalmente ripopolata da etnia russa.
Dopo 97 giorni di assedio con bombardamenti incessanti, le truppe sovietiche
entrano in città. I comandanti aizzano i soldati a vendicarsi contro i loro
nemici e iniziano gli stupri, i saccheggi, gli omicidi. La battaglia è finita.
I Russi contano 160.000 morti, altrettanto tra gli avversari ed un numero
spaventoso, sicuramente superiore ai 200.000 tra i civili, donne e bambini. Più
di mezzo milione di morti giace sul terreno.
Non è la cronaca
che proviene da Bucha o di Mariupol, ma stiamo parlando di Königsberg (oggi Kaliningrad) e i fatti risalgono dal gennaio all’aprile 1945. Quello che successe lì non l’ho letto
dai libri, ma dalla testimonianza diretta di mio padre, che era prigioniero
internato nello Stammlager VIII C di
Sagan (ora Żagań, in Polonia) costretto ai lavori forzati.
Poco prima, nel dicembre ’44, i tedeschi l’avevano portato a Königsberg, insieme ad un centinaio di altri prigionieri, per
essere utilizzati come forza lavoro nella realizzazione di opere di difesa
della città. Tutti i giorni
usciva dal lager (Stablack) nei pressi della città per recarsi al lavoro ed
assisteva a spettacoli terribili. Riporto fedelmente uno stralcio dal suo
diario.
“Il nostro trasferimento avvenne prima della
mezzanotte, sotto i bombardamenti e i
razzi bengala per colpire meglio i bersagli. Il giorno 10 (dicembre, ndr) ci
portarono a lavorare a tu per tu, sul fronte russo, a fare le barricate da un
palazzo all’altro. Il 14 ci fecero
partire per trasferirci in un altro campo in un altro quartiere della città
che si chiama “Kenigsplatz” (Königsplatz, credo che ogni città
abbia una piazza con quel nome, ndr) facendoci
rifugiare in una casa diroccata, senza mangiare e senza acqua. Bombardamenti e granate si incrociavano in ogni direzione, seminando
terrore e morte. Quante paure,
preghiere e raccomandazioni si rivolgevano al buon Dio affinché ci liberasse da
questo immane flagello. Il 24 mattina
tutte le armi russe aprirono nuovamente il fuoco e sconvolsero nuovamente tutta
la zona, cioè il quartiere di Kenigsplatz. La sera ci fecero tornare nuovamente
al quartier “burgvaide” (lui stesso dice di scriverlo come lo pronunciano, potrebbe
essere burgweider-borghese) dove giungemmo alle ore 23 attraversando
palazzi in fiamme e cadaveri che bruciavano, gente ancora viva avvolta dalle
fiamme. Il dolore e le avventure le
potete immaginare perché non è possibile descriverli in questi fogli. Rimanemmo al quartiere “burgvaide” sotto l’insidia e la minaccia tedesca, sotto le botte e la fame, accompagnato dal lavoro forzato, sotto i
bombardamenti e i mitragliamenti delle armi russe dove i cadaveri non si contano più e le malattie si moltiplicano
continuamente.
Strada facendo, vento, fuoco,
fumo, gente morta, cavalli, soldati, macchine bruciate coprivano il terreno
tanto che non si poteva camminare. Non potete riuscire a farvi idea di ciò che
poteva essere, di questo orrendo spettacolo, di questa carne umana tagliata a
pezzi e maciullata… io rimanevo fisso con lo sguardo, sembravo uno che era impazzito.
Fissavo lo sguardo in aria, guardavo nel vuoto, pensavo, riflettevo… ma che
cosa? ... cose orrende, cose tristi, morte e sventure, patimenti e strazio,
orrore e turbamento da non potersi descrivere. Mi domando “ma perché avvengono
queste cose?” Perché io devo vedere tanti morti di persone sconosciute che
hanno sparso il loro sangue? Se il destino ha messo a terra questi corpi tra
noi ancora viventi, dobbiamo sentirci umiliati perché si vede con gli occhi
inchiodati, la realtà delle atrocità della guerra e chiede a chi resta la
ragione del perché accade questo. Forse soltanto questi morti sanno il perché.
Io non so cosa dire, almeno
ora, perché sono terrorizzato come tanti e tanti altri ancora nel vedere questi
morti, pensando che almeno per loro la guerra e le sofferenze sono davvero
finite. Io non capisco più nulla, sono sconvolto, piango lacrime veramente
amare, vedo morti su morti, gente che corre terrorizzata senza una meta, senza
speranze e senza conforto… Ma perché permettere tutto questo? Perché non scende
sulla Terra un Santo, perché una voce non urla da lontano “pace, pace pace”…
Perché la Terra, avida di sangue non dice “BASTA!”. L’esperienza di guerre passate non ha saziato si sangue coloro i quali
sono responsabili e non li ammaestrati nel quieto vivere? Vorrei chiedermi
tante cose, vorrei avere tante spiegazioni, sentire tante belle parole, ma in
questo momento qualunque spiegazione è superflua, perché non capisco più nulla,
non sono più capace di rendermi conto di alcuna spiegazione…”.
Poi i soldati
russi conquistarono Königsberg, ma le cose non andarono
particolarmente bene, neppure per i prigionieri dei tedeschi. Mio padre
scriveva … “Le parole che circolavano tra
di noi erano sempre le stesse, tanto per consolarci… ‘non ci hanno ammazzati’….
Che banditi, altro che liberatori!!! E difatti, più che liberatori, si
rivelarono tirannici. Ma forse agivano di loro iniziativa, di loro spontanea
volontà, perché si trattava di soldati cosacchi, mongoli, chirghisi e siberiani
(guarda caso gli stessi di Bucha, ndr)
e tanti altri asiatici. In genere questi soldati fanno paura solo a
guardarli, sono peggio delle bestie inferocite e senza pietà”.
Successivamente mio padre e gli altri i prigionieri furono trasferiti a Breslau (in Slesia, ora Wroclaw) dove nell’ultimo tratto arrivarono attraverso
una strada di campagna… “Da questa strada
si dominava tutta la città, dense nubi di fumo e fiamme di fuoco si levavano
verso il cielo: bruciava tutto. I soldati russi, con i lanciafiamme bruciavano
vivi i tedeschi (ormai arresisi) ... (omissis)…”.
Poi mio padre ed
altri due suoi compagni presero un carrettino e tentarono di andare alla
ricerca di qualche cosa da mangiare, frugando tra le macerie, ma… “Appena percorsi 4 km trovammo una
lunghissima fila perché la strada era interrotta. Un ponte sulla palude formata
dal fiume Oder era spezzato. Bisogna portarsi dall’altra parte, camminando su
delle tavole che erano state approntate, aiutandoci l’un l’altro, prima donne e
bambini, poi gli uomini con carrettini e roba… (omissis).
Appena fui al di là cercai di
ritrovare i miei due compagni di viaggio. Poco prima di raggiungerli, si
udirono due forti detonazioni in mezzo alla colonna che stava per mettersi in
movimento. Quattro mine scoppiarono, una dopo l’altra, urtate dalle persone che
erano in sosta. Erano nascoste tra l’erba e nessuno le aveva viste. Si udirono
delle grida, urla disperate che riempirono la valle desolata. A me e Teodolti
caddero le braccia, ma corremmo, ritrovammo la forza di correre... correre
verso la testa della colonna per vedere cosa fosse successo e se il nostro
inseparabile amico fosse salvo” (omissis).
Nella via del
ritorno, con il carrettino pieno di cibo “…
mi si presentò lo spettro di sei uomini ed una donna, fucilati, trovati morti
lungo la strada che avevamo percorsa. Dopo che erano stati denudati, una
scarica di mitra li aveva perforati e giacevano a terra con gli occhi aperti,
come se non fossero morti… Pensai che tra qualche minuto anche noi tre, poveri
sventurati, dovevamo giacere morti lì dentro senza che nessuno avesse più
notizie di noi. Pensai alla cara mamma, ai fratelli, alle sorelle, ai parenti,
a coloro che conoscevo fin dalla mia infanzia, dando a tutti un caro addio.”
… (omissis).
Ecco. Oggi ci stupiamo di ciò che sta succedendo in Ucraina, dei crimini. Ma questi episodi non sono crimini. LA GUERRA
STESSA E’ UN CRIMINE. Il diario di prigionia
di mio padre Mario De Angelis è molto lungo. Purtroppo
mancano un centinaio di pagine. Mia madre mi dice che lei non sa cosa ci fosse
scritto, ma quando mio padre le leggeva, piangeva tutta la notte. Sparirono... Mia
madre mi dice che le distrusse.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenti non moderati comportarsi civilmente